Post date: Dec 2, 2012 11:27:34 PM
Ricordo che quando sono arrivata qua, tutto mi sembrava grandissimo. Gli spazi, gli alberi, le strade. Poi, piano piano, ci ho fatto l'abitudine, e non mi viene piu' in mente. Occasionalmente, uno dei nostri ospiti mi offre un dejavu ripetendo l' osservazione. Dentro e fuori di me sorrido, poi ritorno a vedere le dimensioni normali.
In tredici anni di America, al Grand Canyon non c'ero mai stata. Il piano e' pronto da mesi. Si parte il pomeriggio prima di Thanksgiving - evviva le partenze intelligenti- si ritorna la domenica. Magari al ritorno siamo un po' piu' intelligenti e torniamo la mattina invece che al pomeriggio... Intanto, Daddy cerca di tagliare la corda presto, io prendo una mezza giornata di vacanza. Luna non ha scuola, si intrattiene piu' o meno da sola nella mia mattina presta di lavoro, poi impacchettiamo. Daddy compare verso le 3 con Rocco, quasi pronti, via!
Prima destinazione: Lake Havasu, Arizona. Si spera di arrivare per cena, pensa che ingenui. Noi, e le decine di migliaia di Angelini che escono dalla citta'. Glendale, Pasadena e Arcadia scorrono lentissime, quasi due ore per poche decine di miglia. Ci saranno ancora code sulla 15, prima di distinguersi dalla folla diretta a Vegas. Poi, il buio cala, e si procede spediti. All'ora di cena siamo piu' o meno a Barstow, ultima tappa utile per un boccone prima del deserto. Ne approfittiamo, poi via, e' il mio turno di guidare.
Era tanto tempo che non guidavo a lungo di notte, e nel deserto, un po' fa paura. Daddy assonnolito provvede con un po' di musica da strada. Piu' tardi del previsto, i bambini si adormentano. Il deserto diventa una collezione di ombre, penso che tanto le vedro' prendere vita al ritorno,in piena luce.
Arriviamo a Lake Havasu quasi a mezzanotte, o meglio, ben passata la mezzanotte, come dice la radiosveglia dell'albergo. Siamo andati abbastanza ad est da passare un meridiano,
Ci raccontera' poi al ritorno un amico le sue memorie scavate dal profondo degli anni 60, vicini di casa entusiasti che partivano da Los Angeles con una barca al traino per lunghi fine settimana a Lake Havasu, tornando abbronzati e felici, oblivi delle 300 e piu' miglia macinate dai pneumatici. Pensero' io alle nostre destinazioni di vacanze, brevi e lunghe, a distanza quasi di braccia al confronto, Maremma e Amiata. E avro' ancora un dejavu di dimensioni amplificate.
Lake Havasu, adesso luogo da Spring Break e jetski, nasceva nei primi anni sessanta, su piano preciso di un genio di imprenditoria americana, giustappunto per le vacanze degli appassionati di sport acquatici che preferivano la calma del lago al fragore del mare. E tale genio, fabbricatasi una fortuna con le motoseghe, penso' poi di pubblicizzare la comunita' di vacanza comprando, importando e ricostruendo, mattone per mattone, il London Bridge, messo in vendita dalla citta' di Londra.
Eccolo qua, dopo aver visto il Tamigi dell 1831, il nostro ponte smantellato e ricostruito, per la gioia degli Havasu-iani, a detta di Forbes magazine, la citta' meno istruita d'America. Sembro sarcastica, ma piu' che vivo qui, piu' che adoro queste folli idee, e dal trovarle ridicole sono passata invece ad ammirarne il genio.
Ora, se uno importa un ponte intero da un altro continente, non ci stupiremo mica se ci troviamo una replica di una carrozza reale britannica nella lobby di un' albergo!
Ma tant'e', la notte scorre tranquilla, e la mattina scorre nell'acqua della piscina, assaporandosi gli 80F dell'aria e gli oltre 100 della hot tub. Si passeggia poi pigramente lungo la riva del lago, clima splendido e cielo limpido, si raccolgono stecchi e sassi, come da copione.
E' Thanksgiving, e memore di un Thanksgiving a Palm Springs di qualche anno fa in cui girammo invano per ore cercando un boccone non prenotato, mi ero premunita e con l'aiuto dell'amico Yelp avevo prenotato un semplice ma apparentemente gettonato pranzo buffet. Mossa di successo, ci aggiudichiamo l'ultimo tavolo sulla terrazza a vista ponte e lago, apprezziamo il cibo, un po' da buffet larga scala, in effetti, ma il gioco vale la candela per lo spazio e i giardini a vista dove i bimbi possono giocare, come al solito presto stufi di stare seduti. Osservo le grandi famiglie estese, nonni e bisnonni nipoti e bisnipoti vestiti a festa, mi domando com'e' che hanno preferito il ristorante a un onesto tacchino cucinato in casa, ma penso che se lo avessero fatto me ne sarei persa i colori. Il pomeriggio scorre ancora pacato, la sera poi mi trovero' a vagare in macchina fra le strade fantasma e i negozi sbarrati in cerca di un boccone per i bimbi non sazi come noi, e finiro' con un Kids Meal che odora di MacDonald a profumare la macchina. Se lo mangeranno davanti alla tele, mi addormentero' prima di loro.
E la mattina dopo, ripartiamo. Il deserto ci cambia intorno. E io che avevo pensato che il deserto fosse uno, come se si potesse salire fino a tremila metri sempre accompagnati dallo stesso paseaggio. Quando passiamo qualche casa, mi domando delle vite di chi le abita. Cosa si deve provare a nascere e crescere cosi' remoti da dove il mondo scorre davvero. Cosa avranno provato quegli uomini e donne che arrivarono qui, magari con un mulo e una pezzo di carta con il timbro dell'Homestead Act che assegnava loro 160 acri. Di deserto. Avranno sbattuto in terra il cappello dalla rabbia, poi si saranno rimboccati le maniche, ingegnandosi per trovare maniere di spremere l'aridita'.
A vedere il Grand Canyon, arriviamo nel pomeriggio. Manca il respiro, anche se centinaia di macchine fotgrafiche e turisti ce la mettono tutta per spezzare l'incanto. La luce e' splendida, la maestosita' dirompente. Lascio le parole alle foto.
E pensare che i primi exploratori di cui abbiamo rapporti scritti, al giungere sull'orlo di queste montagne rovesciate, non ne apprezzarono affatto lo splendore. Al contrario di noi viziati essere umani moderni che ci possiamo permettere di dare credito alle bellezze naturali, per crude che siano, il Canyon fu visto esclusivamente come ostacolo quasi insormontabile, e ci si auguro' perfino che nessuno tornasse a vederlo.
Avevo pensato che l'avventura da rimandare causa bimbi sarebbe stata l'attraversamento con zaino in spalla da Nord a Sud, invece dopo alcuni filmati gentilmente offerti dal centro accoglienza, mi sorprendo a pianificare con Jim una futura vacanza navigando a fondovalle fra la schiuma e le cascate del fiume Colorado.
Ce lo assaporiamo tutti e quattro da ogni angolo, il Grand Canyon, quel pomeriggio e il giorno successivo. Ci avventuriamo a piedi per qualche tratto del sentiero sull'orlo, Rocco spesso sulle spalle di Daddy, un po' per stanchezza, un po' per sicurezza. Il resto, in macchina, o con l'efficiente bus che circola lungo il Rim.
Luna la fotografa sfoga di nuovo la sua creativita' con sassi e stecchi, e assolda il fratellino, che come sempre le pende dalle labbra, come aiutante. Un branco di cerbiatti che sta attraversando la strada ci spinge a frenare, riusciamo a catturarne una sbiadita foto.
Tante piccole altre cose succedono, ma il Canyon rimane il protagonista.
Ce ne ripartiamo la mattina successiva, questa volta evitando il piu' del traffico con successo.
Durante il viaggio in macchina, ripetutamente giochiamo il gioco dell'alfabeto, il preferito di Luna. "Chi vede una cosa che comincia con la A... B... C..." Mentre cerco nuove parole per ogni lettera, penso al Canyon, e a nuove idee che ho per la testa, da scrivere o da fare.
La prossima volta che avro' bisogno di pensare in grande, mi lascero' scorrere davanti agli occhi le immagini del Grand Canyon.